LIEBIG ITALIANA - MILANO
VOLUME VIRTUALE 2
DAL 1921 AL 1948
DA SERIE 1109 A SERIE 1476
VOLUME
PRESENTAZIONE
1. PREMESSA
La presentazione di una serie di 100, 200 o 300 figurine è sempre un esercizio complesso e delicato che necessita di possedere, conoscere e dominare molti elementi e la visione prospettica, che si deve avere della realizzazione di cui si parla, non può mai essere né superficiale né, ancor meno, parziale.
Ma la passione ed il tempo che abbiamo dedicato negli anni, prima alla raccolta e poi allo studio di questa complessa collezione ci porta a poterne parlare con cognizione di causa, e dominio culturale ed in maniera approfondita non fermandoci quindi ai semplici riscontri statistico editoriali ma cercando penetrare la raccolta esaltandone i veri aspetti e i giusti significati che, sostanzialmente, mettono questa collezione, nel suo complesso, ai vertici del concetto elementare del rapporto tra illustrazione/figurina (immagine) e spiegazione/sviluppo critico del tema o del fatto (testo).
Ai vertici perché il rapporto si svolge lungo un cammino impressionantemente lungo che mai nessuna collezione, nessun editore, in nessun tempo si è mai permesso, solamente, di avvicinare.
Ricordo che qui stiamo trattando la componente italiana del periodo che va dal 1921 al 1948, quindi già poniamo due grandissime limitazioni, prendendo in considerazione la raccolta di uno solo dei sette paesi nella cui lingua le Liebig furono edite e un periodo storico di meno di 30 anni (su 100 circa complessivi di produzione), nemmeno tra i più prolifici per realizzato.
La vastità del realizzato, tuttavia è tale che persino da un “ambito ridotto” si possono estrapolare elementi caratteristici dell’intera opera, evidenziando con ciò, spostandoci idealmente da un ambito ridotto ad un ambito totale o complessivo, come questo vertice sia sempre più lontano da ogni altra opera della grande area del settore delle figurine “del commerciante” per usare la traduzione letterale del termine “Kaufmannbilder” con cui i tedeschi identificano questa tipologia di figurine abbinate in maniera identificativa ad un prodotto commerciale il cui distributore o fornitore è il commerciante stesso che ti vende quel prodotto e a cui ci si rivolgeva per recuperare le nuove serie “uscite”, presentando le prove di acquisto.
Anche la sede di questi “scambi” era il negozio, la drogheria, la salumeria, la salsamenteria, o, per dirlo con il termine più comune all’epoca (termine oggi definitivamente scomparso) l’ “alimentari” dove il prodotto Liebig veniva normalmente commercializzato.
A mo’ di paragone chiamo in causa il complesso della produzione di figurine (a cui si deve tanto di cappello), come quella di un editore italiano tra i più prolifici e longevi, mi riferisco a Antonio Venturini, il dolciario editore veronese della V.A.V..
Ciò che la V.A.V. ha realizzato è un complesso di varie serie edite nel corso di meno di un trentennio, ma con argomentazioni ed ambientazioni riferite a soli tre o quattro ambiti (calcio ciclismo, cinema e caricature), eppure con la ricerca del nuovo dell’inedito, della differenza, sostanzialmente della non ripetitività.
La Liebig, di contro, sembra essere meno esplosiva, meno frizzante, apparentemente ripetitiva nel suo format storico: si muove con uno spirito conservativo, lentamente, segue il tempo e la moda del tempo, non la detta, ma la serve, deve illustrare, edurre, non esaltare un campione incorniciato da mille colori.
Eppure, ecco il paradosso che ci fa capire molto, Liebig muta più di Venturini.
Lo stile di Venturini è una continua mutazione su un solo tema, la cornice che avvolge la figurina.
In un trentennio Venturini resta legato al suo stile di cambiare cornici e quindi di fatto Venturini è monoliticamente legato ad uno stile monocorde e quasi costantemente immutevole: le cornici di Venturini cambiano spesso e volentieri con cadenza semestrale, ma lo stile, l’dea, lo standard del Venturini è uno solo, non muta mai!
Le Liebig invece cambiano e cambiano anche profondamente, ma ribadisco il concetto che è alla base della comprensione del “movimento Liebig”, le Liebig cambiano nel tempo perché il tempo cambia le Società a cui le Liebig sono rivolte, cambia la grafica, seguendo il processo creativo dei grandi maestri che creano stile e lo rendono, nel tempo, assimilato e socialmente disponibile, cambia l’espressione della lingua scritta, perché il tempo e la Società la mutano, cambiano le argomentazioni, perché le Società sono in continua evoluzione tecnologica, e argomenti già trattati nel 1890, devono essere ampiamente aggiornati negli anni, pensiamo ad un discorso sulle comunicazioni, o sulla medicina: è il cambiamento che insegue e forgia la Società non la Liebig che lo deve imporre, “precedendolo”…
2. IL PERIODO STORICO
Gli anni che vanno dal 1921 al 1948 sono anni densissimi di avvenimenti soprattutto in Europa dove nel ’21 non si era neppure minimamente stabilizzata la Società di Nazioni che, perdendo la guerra mondiale, erano uscite derelitte dal conflitto, tanto da implodere, come l’impero austro ungarico, o da mutare in maniera impensabile il proprio stare nel consesso delle nazioni, come la Russia che si chiuse in un isolamento rivoluzionario covando in se l’espansionismo dell’idea politica e, conseguentemente quello territoriale, soprattutto verso occidente dove i giochi e gli interessi geostrategici e politici erano certamente più importanti e delicati, o da rimanere fortemente depresse come la Germania che diede il benservito all’ultimo Kaiser e si ritrovò Democrazia fragile e vessata dai debiti di guerra e da mille rivalse per territori di madre lingua tedesca ceduti a Stati confinanti fino allo schiaffo di Danzica, una regione della Prussia (la Prussia sta alla Germania come il Piemonte sta all’Italia del risorgimento).
Per l’Italia, pur uscita vincitrice, dal conflitto, fu ancora peggio!
Fu, praticamente trattata da perdente: una Italia a cui fu assegnato un territorio di lingua tedesca (ma questo era anche prevedibile perché si trovava al di qua dello spartiacque alpino, considerato confine naturale e non più violabile), mentre non fu concessa l’annessione di zone di assoluta italianità, non solo storica, ma linguistica e di costume, zone politicamente e popolarmente rivendicate in maniera esplicita, come quelle dalmate, almeno sino alla città di Fiume, territori che l’impero asburgico aveva annesso , esattamente come Veneto, Friuli e Trentino, strappate alla Serenissima Repubblica di Venezia grazie agli accordi franco asburgici di Campoformido del 1797 (naturalmente dopo un abbondante “shopping” espoliativo di capolavori d’arte veneta del Generale francese e della sua corte) che prevedevano il riconoscimento imperiale della Repubblica Cisalpina (Lombardia, Emilia Romagna e pate del Veneto), riconoscimento che durò sino alla prima sconfitta napoleonica del 1799 quando i territori sopra citati furono anch’essi annessi agli Asburgo che, in meno di tre anni, annessero ,mezza Italia del nord e non solo.
Neppure l’esito parzialmente positivo della terza guerra di indipendenza riuscì a ricongiungere il Veneto al Regno d’Italia ivi compresi anche i territori veneti d’Istria e la Dalmazia che rimasero in mano austro-ungarica.
Solo al termine della Prima Guerra Mondiale questo sarebbe stato possibile, ma in maniera assolutamente incomprensibile no lo fu, scatenando una ribellione civile sfociata in una ribellione militare prima (l’impresa dei legionari a Fiume) e politico militare poi con la nascita e l’affermazione del fascismo
Per l’Europa, questi anni vanno da una lenta ricostruzione civile, sociale ed economica ad una nemmeno tanto lenta rideterminazione delle nazionalità neonate, dei riassetti interni, delle definizioni dei poteri, dei popoli e delle Nazioni.
Unica a tenersi fuori da ogni situazione di insicurezza o debolezza politica e sociale fu la Gran Bretagna che, chissà per quali speciali meriti, aveva “assorbito” praticamente tutte le colonie tedesche che andavano dalle Antille alle Filippine-arcipelago della Sonda passando per l’Africa dell’oro e delle miniere di diamanti.
Gli stessi Sati Uniti, solo dieci anni dopo la vittoria della guerra sprofondarono nella più grave crisi economica e sociale di cui mai abbiano sofferto, la grande recessione del 1929.
Anni complessi, quindi, inquieti, molto caldi, pieni di tensioni di problematiche nuove o irrisolte che covavano alla luce del sole o sotto la cenere.
Anni ricchi di progressi scientifici, di nuovi orizzonti che si aprivano in continuazione, anni di tecnologie accattivanti e fantastiche e di esplorazioni continentali di grandissimo fascino.
Anni in cui le comunicazioni erano, fortemente tecnologiche se riferite a quelle veloci e dirette, come il telefono e la radio, sempre più strumenti di massa, addirittura privata, nel caso del telefono, mentre l’informazione visiva era ancora legata alla stampa, ai cinegiornali, comunque allo stampato (carta o celluloide che fosse) che aveva i suoi tempi, non certo rapidi e non certo avanzati (bassa qualità, mancanza del colore).
In questa situazione la figurina (genericamente intesa) svolgeva, senza essere superata da nessun altro mezzo, in maniera piena, praticamente senza rivali e al meglio, il suo compito informativo, ricreativo, ludico e sociale.
Ma nel frattempo la televisione si stava affermando, è del 1936 la diffusione in Germania (in maniera non privata ma attraverso centri di visione pubblici appositamente attrezzati) dei giochi della XI Olimpiade di Berlino.
Poi venne la guerra, la seconda, conseguenza degli errori e dei rancori della prima, con machine di distruzione spaventose, con gli eventi del Pacifico che videro il ricorso ad armi atomiche e il disegno polito e sociale mondiale che cambiava radicalmente ancora una volta.
Amici che diventano “nemici non belligeranti” (sovietici) e nemici che diventano “amici belligeranti” (italiani), se ne videro di tutti i colori, compresa la grande eruzione del Vesuvio del 1944....
3. LA GENERAZIONE TRA LE DUE GUERRE
La presentazione di un periodo di produzione estremamente lungo (quasi 30 anni) ed ampio (quasi 300 serie) comporta delle difficoltà francamente elevate e la necessità di una ponderazione e conoscenza estremamente distaccata dal periodo storico in cui le pubblicazioni furono distribuite, un po’ come tutta la storia che tale diviene già il giorno dopo ma che deve essere “letta” in maniera distante e distaccata.
Questi 30 anni del 20° secolo sono quasi la vita di una generazione che era quella dei miei (nostri) genitori e non la mia (la nostra), eppure siamo, ormai, sulla strada da un bel pezzo….
In un trentennio sono talmente tante le cose che accadono e che mutano il modo di sentire, di vedere e di interpretare la vita da parte della gente comune, degli artisti e di coloro che hanno avuto ed avranno le responsabilità di guidare una nazione, un popolo.
È chiaro che il 1921 è un anno in cui le Liebig “festeggiano”, almeno nella edizione italiana il loro 43 esimo compleanno, quindi parliamo, del lavoro precedente di quasi due generazioni di lavoratori (ideatori, disegnatori, scrittori dei testi, stampatori ecc. ecc.), perché dopo 43 anni di produzione non trovi in “azienda”, diciamo così, nemmeno più un personaggio che lavorò alla prima serie italiana del 1878!
Quindi un lavoro già iniziato da tempo, ben rodato ed in piena evoluzione.
4. LE COSTANTI
Il dato costante di questa titanica opera basata sulle figurine è la divulgazione del sapere anche alle classi meno abbienti e poco, se non del tutto aculturate (ricordo che il tasso analfabetismo nel 1920 era del 35,2 % in Italia, del 49% in Spagna e solo del 14-15% in Francia, Belgio e Olanda.
L’altra costante è quella pubblicitaria, che mantiene nelle figurine un suo aspetto dominante, direi una visibilità addirittura eccessiva e che nel trentennio considerato non tenderà minimamente a diminuire.
Costante è il formato delle figurine, anche se variazioni appena significative si segnalano in questo percorso trentennale.
Costante, ma con una lenta crescita, la presenza di un testo esplicativo sul retro, conquista del ‘900 rispetto alle dizioni ottocentesche, proseguita e definitivamente affermatasi come una componente di primissimo piano della figurina.
Costante rimane il sistema di stampa cromolitografico che rende le serie prodotte gioielli di tecnica editoriale e tipografica.
Ancora costante rimane il “divieto”, palese o meno che fosse, imposto agli artisti delle tavole di firmarle, garantendo quindi l’anonimato della realizzazione grafica.
Costante, ma con qualche piccola eccezione rimane il numero di figurine per ciascuna serie (sei).
Oltre queste costanti, certamente importanti e significative, ma poche, troviamo un mondo in evoluzione “costante”, mi si perdoni il gioco di parole che rende lo studio di queste figurine particolarmente bello ed impegnativo.
Quaranta ed oltre anni fa, quando ho terminato il liceo scientifico, usavo un modo di parlare che era evoluto rispetto a quello dei miei genitori e dei miei professori, si dicevano termini come: “matusa”, “capellone”, “beatnik” ecc., ed oggi i ragazzi che escono dal liceo parlano un gergo molto diverso da quello dei loro genitori e degli insegnanti, a significare che le distanze linguistiche e di apprendimento si sono accentuate tra le generazioni al crepuscolo e quella al mezzogiorno!
Se un ragazzo di oggi leggesse il testo delle figurine del 1920 resterebbe allibito dagli arcaismi della lingua utilizzata e dagli argomenti scelti per essere riprodotti in figurine.
Abissale è poi la differenza tra la grafica di allora e quella di oggi, sintetica e stringata, come fosse “tagliata al laser”, contro la ridondanza avviluppante e aggraziata, meravigliosamente accattivante e sensuale, ma non pratica dell’immediato post liberty’ degli anni 20.
5. LA PRODUZIONE DAL 1921 AL 1948
Le serie italiane prodotte sono, complessivamente 296 così suddivise per anno di produzione
1921 - 23 | 1922 - 11 | 1923 11 | 1924 – 10 | 1925 - 12 | 1926 - 12 |
1927 – 15 | 1928 – 18 | 1929 – 13 | 1930 – 10 | 1931 – 12 | 1932 - 11 |
1933 – 19 | 1934 – 14 | 1935 – 19 | 1936 – 18 | 1937 – 11 | 1938 - 15 |
1939 – 12 | 1940 – 8 | 1941 – 7 | 1942 – 5 | 1943 – 1 | 1944 - 2 |
1945 - zero | 1946 - zero | 1947 - 2 | 1948 - 2 |
Il piano editoriale Liebig compreso nel secondo volume virtuale, considerandolo per argomenti trattati prevede:
- Geografia: 24 serie (8,1 %);
- Genti, usi e costumi: 57 serie (19,2 %);
- Mondo animale: 27 serie (9,4 %);
- Mondo vegetale: 17 serie (5,7 %);
- Personaggi famosi: 28 serie (9,45 %);
- Musica letteratura e poesia: 45 serie (15,2 %);
- Storia: 21 serie (7,09 %);
- Scienza e tecnica: 37 serie (12,5%);
- Arte e architettura: 39 serie (13,7%);
si noti come le componenti legate all’uomo generico (arte, scienza musica e genti) rappresentino il 60 % delle argomentazioni, mentre le componenti legate all’uomo “politico” (storia e personaggi) sono appena il 17%, sintomo questo di un certo malessere sociale di cui abbiamo già parlato ampiamente sopra.
6. ASPETTO GRAFICO E TIPOGRAFICO
Le serie che compongono questo blocco sono, sotto questo profilo, abbastanza omogenee.
Non è questo l’aspetto in variazione che si deve considerare come importante ed in fondo il processo di variazione e di adeguamento degli aspetti grafici al periodo procede lentamente e senza scossoni, senza dare nell’occhio, eppure presente e continuo.
Delle 296 serie del periodo le verticali sono 68 per cui le orizzontali sono 228 con un rapporto di poco inferiore a 4 (una verticale ogni 3,6 serie orizzontali) che è un valore abbastanza consueto nel senso che il rapporto è alto e la frequenza media di una serie verticale ha cadenze superiori al valore medio dell’intera opera 1900-1975 che, ricordiamolo è di 3,5.
7. ASPETTI COLLEZIONISTICI
Le serie che compongono questo volume sono 296 ed il valore di queste serie (valore basico Sanguinetti 2014) è di 4.565 euro
Frazionato per annate il valore è:
1921 – 1861 € | 1922/3 – 348 € | 1924 – 152 € | 1925 – 131 € | 1926 – 130 € |
1927 – 162 € | 1928 – 145 € | 1929 – 75 € | 1930 – 99 € | 1931 – 249 € |
1932 – 47 € | 1933 – 175 € | 1934 – 153 € | 1935 – 119 € | 1936 – 112 € |
1937 – 292 € | 1938 – 109 € | 1939 – 54 € | 1940 – 64 € | 1941 – 30 € |
1942 – 22 € | 1943 – 4 € | 1945/6 – 0 € | 1947 – 18 € | 1948 – 14 € |
Il valore medio a serie è di 15,422 euro che è tendenzialmente un valore basso soprattutto se si considera che questa media è influenzata da solo 4 serie: la 1114 valore 720 euro, la 1223 valore 350 euro, la 1360 valore 170 euro e infine la 1242 valore 60 euro che, se non ci fossero state, avrebbero consentito un valore medio a serie di 11,18 che mi pare abbordabilissima, anche considerando che stiamo parlando di valore di catalogo su cui solitamente vengono applicati sconti del 40% o anche di più!
Siamo quindi a valori prossimi a un euro a figurina che sinceramente per serie di oltre 100 ani fa sono veramente poche e non avendo fretta si possono trovare delle occasioni per acquistare anche una serie delle più costose a cifre molto inferiori.
Sicuramente mi ripropongo di riaggiornare questa tipologia di presentazioni con un così gran numero di serie perché le cose da dire sarebbero comunque ancora molte
Buona collezione!!!